Tûtto a sô tempo, direbbe un genovese citando il noto proverbio che corrisponde al latino “Omnia tempus habbent” e che, incautamente, Massimiliano Spinola osò far apporre sul portone della sua dimora, che svetta, tuttora, in Largo Eros Lanfranco e che è sede della Prefettura di Genova.
Così cita un antico testo: “Per avere il Marchese Massimiliano Spinola, in luogo dello stemma, fatto porre sul portico del suo palazzo, in capo di via S. Giuseppe, uno scudo con questo motto latino, e la data 1815, ebbe di molte brighe con l’ombrosa polizia di quel tempo, onde fu obbligato a toglierlo, come fece sostituendovi le sue cifre.”
L’aneddoto si riferisce al rifiuto opposto, dal nobile, alla nomina di Ciambellano del re, conferitagli da Vittorio Emanuele I. Interrogato sul perché della ripulsa, pare abbia risposto fieramente «Maestà son nato per essere servito e non per servire gli altri». Ovviamente, davanti a tanta tracotanza, il re si sentì obbligato a bandirlo immediatamente dalla reggia. A sua volta il genovese, per ritorsione, mise in atto l’insano gesto di esplicitare il suo pensiero con quella sibillina frase che, come sanno i cultori della lingua latina, ha un suo seguito in “et suis spatiis transeunt universa sub caelo” (e tutte le cose, a tempo debito, passano sotto il cielo) come dire… chi se ne importa, neanche i regnanti sono eterni.
Dopo i debiti scongiuri del caso, la vendetta del sovrano si fece sentire repentinamente, imponendo l’allontanamento della villana ingiuria il cui destino si evince da un altro capoverso del testo: “Lo scudo stette seppellito nella corte del palazzo per molto tempo finché fattolo trasportare a Tassarolo, ordinò fosse murato in un andito del suo castello, ove esiste tuttora“.
Questo edificio, sulle colline del Gavi, deve il suo nome alle “tassarie”, cioè ai covoni che venivano ammucchiati lungo la strada per poi essere avviati ai fienili, ed è sede, oggi, di una fiorente azienda vinicola, proprietà degli eredi di questa antica casata.
Insieme ai Doria, Grimaldi e Fieschi, infatti, gli Spinola erano una delle più importanti famiglie della città, la cui ricchezza, fondata sulla mercatura, si perde lontano nel tempo, parimenti al loro nome della cui etimologia si hanno diverse versioni. Secondo una prima ipotesi, sarebbe legata ad una “spina della corona di Cristo”, portata da un viaggio in Oriente, secondo altri deriverebbe dai possedimenti presso il Monte Spinula, nel Marchesato di Varsi, e l’ultima lo farebbe discendere dalla “spina” di quelle botti di cui, i capostipiti, erano abili fabbricanti.
Il personaggio, protagonista della nostra storia, postero della blasonata famiglia Spinola, nato in Linguadoca (1° luglio 1780) dal Marchese Agostino e dalla Marchesa Carrion du Nisal, era un cultore appassionato di entomologia ed è ricordato per i suoi trattati di tassonomia (ordinamento sistematico delle specie) in cui descrive moltissime specie di insetti e la cui collezione è conservata nel Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino. Membro ordinario della Società Entomologica di Londra era il proprietario del palazzo incriminato, precedentemente appartenuto ai Doria, che vede la luce nel 1542, su progetto di Bernardino Cantone e che, oggi, a buon diritto, fa parte dei Palazzi dei Rolli.
Un imponente portale, opera di Taddeo Carlone, impreziosito da 4 colonne e da un architrave su cui poggiano statue di armigeri ai lati dello stemma nobiliare, dà adito ad un grande cortile interno su cui aggetta la galleria loggiata. Uno scalone laterale, a due rampe, porta agli ambienti interni ricchi di affreschi tra i quali si annoverano quelli Luca e Giovanni Cambiaso.
Ampiamente rimaneggiato per la realizzazione di via Roma, il ricordo del suo bel giardino rimane solo, come testimonianza, sulle tavole del pittore fiammingo Rubens. Ceduto al Comune nel 1876, figura tra gli edifici che testimoniano l’evolversi urbanistico della nostra città come ricorda una lapide sita sotto il portico del cortile: “Acquistò per se con proprio denaro il suolo con le pertinenti un tempo casette con i gradini ed il mulino…”
Adriana Morando