Le vecchie case chiuse, Genova e le sue signorine

Le case chiuse nel passato di Genova
Illustrazione di Valentina Sciutti

Quando via Garibaldi si chiamava ancora via Montalbano, era il sito del postribolo pubblico, l’analogo del lupanare di Pompei. Siamo al tempo delle Repubbliche Marinare, il “malaffare” si estendeva dalla Maddalena fino a Porta Soprana. La prostituzione non era un libero mestiere perché, ogni 5 anni, la via veniva appaltata e, dunque, essendo fonte di denaro doveva essere regimentata.
Dove, adesso, ci sono i dissuasori per il traffico, a quei tempi c’era un cancello per definirne i confini. Le “signorine”, infatti, pagavano regolarmente le tasse, 5 genovini al giorno e, come lavoratrici, avevano il sabato libero, la domenica andavano alla messa, rigorosamente vestite di giallo e, a S.Giovanni, seguivano la processione dietro l’effige della Maddalena, loro simbolo.

La notte tornavano a fare il loro mestiere: avevano un portinaio per scoraggiare i violenti e se qualche ragazza veniva ferita, il responsabile era costretto a pagare la diaria cioè l’equivalente del mancato lavoro. Erano chiamate le donne delle candele perchè il tempo e quindi l’onere della prestazione era determinato da una tacca incisa su un cero.

All’inizio del 1500 i nobili genovesi, per costruire i loro sontuosi palazzi, spostarono più a valle la vita notturna. Poiché il denaro continuava a fluire, non cambiò nulla fino all’Unita d’Italia, quando Cavour si inventò la legge sulle case chiuse cioè case con persiane rigorosamente oscurate onde evitare sguardi indiscreti. Queste venivano censite come edifici di lusso e regolarmente tassate.

Accanto ai lussuosi Suprema e il Mary Noir, di prima categoria, dove c’erano velluti, caviale e champagne, si trovavano quelle di bassissimo livello in vecchi magazzini, con panche in legno e tende come separé. La più famosa, tra il 1900 e la fine della guerra, era chiamata il Lepre ed era gestito da una certa Rina meglio conosciuta come la “Tigre di Gondar” per i suoi passati al seguito dell’esercito italiano in Etiopia. Nostalgica del fascismo, vietava alle signorine l’intimo nero, colore che non si addiceva a parti del corpo particolari. Essendo di categoria intermedia, c’era anche il sistema di accoglienza, un vero dopocena, dove i ragazzi andavano a fare “flanella”… cioè nulla! In quel caso le tariffe erano: mezzora , quarto d’ora , semplice e doppia e la prestazione veniva pagata con la marchetta che potevano essere tappi di bottiglia o bottoni o fiches.

Un’altra casa molto famosa era quella di vico dei Ragazzi, in cui potevano entrare i minorenni , cosa proibita dalla legge che, in questo caso, chiudeva gli occhi dietro un lauto compenso da parte della maitresse Angioina.
Nei pressi di vico Carabaghe, esisteva un “ritrovo” dalle pareti viola che il cantautore Gino Paoli dichiara essere stata fonte di ispirazione per una sua celebre canzone. Un mondo di storie che solo gli “anta” possono raccontare e che è finito il 1 gennaio 1958, con la legge Merlin.

Adriana Morando

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