San Fruttuoso e San Francesco di Albaro, oggi quartieri residenziali denominati semplicemente Albaro e San Fruttuoso, sono rimasti comuni autonomi sino al 1874 quando rientrarono nella prima fase di annessione a Genova dei comuni limitrofi (vai al documentario) ad opera del nuovo potere Sabaudo (la seconda avvenne nel 1926 voluta dal regime e portò all’istituzione della “Grande Genova”, vai al documentario).
S.FRUTTUOSO D’ALBARO
L’esistenza di un nucleo abitativo in questa zona è testimoniato dalla presenza fin dal 1130 della chiesa e del convento omonimi, ormai perduti (fino al Cinquecento il luogo è detto Terralba, toponimo che oggi ne indica invece una porzione minore), ed è un “paese di via”, il motivo del suo sviluppo cioè è legato strettamente alla presenza di una trafficata via di comunicazione che porta da Genova a Luni e che comprende il medievale Ponte di S.Agata, che attraversa il Bisagno con le sue ventotto arcate sempre presenti nelle tante vedute d’epoca. Il ponte è il più antico tra quelli costruiti sul torrente e compare già in documenti del XII secolo. Anche in questo caso il nome è dovuto alla presenza di una omonima chiesa con relativo monastero. Danneggiato dalle piene e rimaneggiato più volte nel corso del tempo, il ponte perde progressivamente importanza, le arcate vengono ridotte di numero coi lavori urbanistici ottocenteschi, per finire ad essere sei; l’alluvione del 1970 ha abbattuto parte del ponte che da allora è rimasto monco e definitivamente inagibile, ma ancora visibile, parzialmente ricoperto di vegetazione, con le sue tre arcate superstiti accanto al suo sostituto moderno, ponte Castelfidardo. Legata al nome della santa è anche la celebre Fiera di S.Agata le cui prime testimonianze risalgono addirittura al Medioevo: già allora qui si riunivano mercanti di ogni tipo nella giornata del 5 febbraio.
Il borgo diviene comune autonomo nel 1818 e rimane tale fino al 1874, anno dell’annessione a Genova e trasformazione in semplice quartiere. La selvaggia urbanizzazione del dopoguerra ne ha alterato per sempre l’aspetto originario, di cui rimane antica testimonianza nella sopravvissuta Chiesa di S.Agata, edificio di impianto medievale di cui si hanno testimonianze a partire dal 1191, e nel cui convento sono sopravvissute, inglobate nelle mura, due delle arcate dell’antico ponte; a Terralba sono presenti inoltre antiche dimore di villeggiatura della nobiltà genovese: Villa Imperiale Cattaneo, sede di biblioteca, e Villa Migone, sede della storica firma dell’atto di resa dei tedeschi alle brigate partigiane nel 1945. Non distante si trova la piazza principale di Terralba, intitolata al marchese Martinez, che insieme ad altri benefattori fondò l’opera pia che porta il suo nome, per l’aiuto a persone precipitate nell’indigenza. Tangente la piazza, dove oggi si trova la Chiesa del Corpus Domini (il cui edificio originario del VII secolo non esiste più), passava un tempo la via che dalla Porta di S.Vincenzo immetteva nel tracciato antico dell’Aurelia.
Sopra S.Fruttuoso, oggi facenti parte del quartiere ma un tempo borghi a sé stanti in zona collinare, sono il Monte e Camaldoli. Il primo, dove anticamente doveva sorgere probabilmente un posto di guardia in virtù della posizione favorevolissima aperta su tutta la vallata, si trova lungo la via di cresta del rilievo, deve il suo nome all’ovvia conformazione orografica e ospita l’antico monastero di Nostra Signora del Monte la cui origine risale anche in questo caso al XII secolo. Il secondo si trova sul colle di S.Tecla ed è legato al monastero dei Camaldolesi che qui si stabiliscono nel ‘600.
SAN FRANCESCO D’ALBARO
Oggi quartiere residenziale non distante dal centro cittadino, un tempo la collina di San Francesco d’Albaro era luogo di villeggiatura delle nobili famiglie genovesi. Le sue romantiche creuze chiamate “strade della solitudine” sono state cantate e percorse da personalità artistiche del calibro di Byron, Dickens, Nietzsche, Corazzini, Gozzano, De Andrè e Firpo.
Lord Byron con una vecchia carrozza a quattro cavalli, proveniente da Sestri Levante, giunse ad Albaro, verso la fine di settembre del 1822. Prese in affitto Casa Saluzzo, mentre la vedova di Shelley, il poeta scomparso in mare a Lerici, e suo grande amico, (che lo accompagnava) prese una stanza nella vicina Casa Negrotto. Lì, alla confluenza con via Pozzo sorge villa Bombrini, dove soggiornava la famiglia De Andrè nei mesi estivi e dove Fabrizio compose le prime canzoni. Percorrendo verso il mare l’antica creuza San Nazaro, incontriamo, tra le altre, villa Bagnarello conosciuta come la “prigione rossa” dove soggiornò Charles Dickens che poco dopo raccontò… “Genova è tutta un contrasto; è la città più sporca e più pittoresca, più volgare e magnifica, repulsiva e più deliziosa che esista […] Fui deposto in un piazzale d’aspetto triste, ingombro di erbacce, il quale apparteneva ad una casa rosa, che pareva una prigione, e mi fu detto che io abitavo lì.”
Le tre strade che solcavano il territorio erano quelle di San Martino, San Nazaro e Albaro. Via Albaro era l’arteria principale del vecchio comune di S.Francesco, da lì partivano le creuze che scendevano a mare. Ancora oggi ricche di fascino se percorse a piedi, queste antichissime strade erano dominate da ville e palazzi splendidi, immersi nel verde, fra orti e giardini. San Nazaro è la creuza più antica (se ne parla in un manoscritto del 1345), scendeva sino alla zona dove ancora oggi sorge l’Abbazia di San Giuliano costruita nel 1282. In fondo a San Nazaro si nasconde fra le fronde la leggendaria “Torre dell’Amore”, affacciata su corso Italia. Una delle primissime costruzioni di Albaro, oggi appena visibile fra le fronde, era utilizzata come guardia a difesa degli attacchi dal mare dei Saraceni. Intorno alla Torre venne costruita nel medioevo l’antica chiesa dei santi Nazario e Celso, demolita in occasione della costruzione di Corso Italia. Questa zona di Albaro, fino ai primi anni del secolo scorso, era famosa in tutta la città per “La Marinetta”, un ristorante-albergo situato in fondo all’attuale via Quarnaro dove il poeta Guido Gozzano si ritrovava con gli amici genovesi. Era conosciuta come “l’ostaia dei poeti”.
Un’altra delle crueze d’Albaro è via Parini che al tempo delle ville portava fino al mare passando nei pressi di San Giuliano ed era un centro di vita mondana. Ma Albaro non era solo luogo di lusso e agiatezza, uno spettacolo differente si poteva ammirare nella piana dell’abbeveratoio, poco lontano dall’attuale piazza Tommaseo. I muli e i contadini, che ogni giorno portavano dagli orti di Albaro frutta e verdura sui banchi della Foce e lungo il Bisagno, sostavano sulla piana e placavano la sete prima di avventurarsi lungo le strette strade. Scritti del VI secolo raccontano di “rozzi canti” che nelle ore più calde animavano la piana.
Ma nell’Albaro di oggi, il luogo che più di ogni altro rivela il contrasto fra presente e passato, è l’area compresa fra la chiesa di San Francesco e quella di Santa Maria del Prato in piazza Leopardi. Sin dal XVII secolo il grande prato che ha dato il nome alla chiesa e che copriva l’intero slargo, era scenario di folcloristiche partite di pallone che attiravano ai bordi del prato tutta la gente del comune, come accade oggi per le partite di calcio.
Le due chiese, costrette nel nuovo assetto urbano, restituiscono alla piazza l’eco di quel lontano passato. Vicino alla chiesa di San Francesco esisteva un piccolo teatro (chiamato appunto “San Francesco”), epicentro della vita culturale albarina sino al 1797, anni in cui venne dato alle fiamme dai patrioti della Guardia Nazionale del generale francese Duphot al quale era stata affidata la difesa di Genova in seguito alla sommossa che i contadini di Albaro tentarono il 4 settembre dello stesso anno contro la Repubblica Democratica Ligure filofrancese. Ricostruito nel 1810, venne chiuso definitivamente nel 1890.
Claudia Baghino