Carlo Barabino, genovese nato nel 1768, è l’architetto protagonista della rivoluzione urbanistica della città di Genova dell’800, la firma degli interventi più importanti del XIX secolo.
A 50 anni, il 2 giugno 1818, Barabino viene nominato Architetto del Comune, ruolo che manterrà fino al 1835, anno della sua morte; in questo lasso di tempo il suo ruolo prevede la redazione dei progetti esecutivi, le perizie tecniche e la direzione dei lavori nelle opere pubbliche: è lui a progettare e dirigere i maggiori interventi di architettura e urbanistica a Genova in un periodo in cui si fa urgente la necessità di provvedere alla sistemazione degli assi viari che attraversano la città, ormai divenuti insufficienti, e al rinnovamento del tessuto urbano del centro cittadino.
Problemi non da poco, poiché tutto il centro si estende intorno all’ansa del porto, chiuso e protetto dal promontorio della Lanterna a ovest e dalla collina di Castello, primissimo insediamento in epoche remote, a est: lo sviluppo della città nei secoli ha assecondato le asperità dovute alla morfologia del territorio, e adesso tagliare nuove direttrici da est a ovest è impossibile senza che questo comporti sbancamenti e sventramenti di quartieri.
Il primo intervento barabiniano riguarda la sistemazione della strada di ingresso alla città da ponente, nel tratto tra S.Teodoro e Villa del Principe, dove un’antica e stretta strada interna permette il passaggio di non più di una carrozza. Altro intervento risalente all’anno del suo insediamento (ma portata a termine diversi anni dopo, nel 1825) è la creazione di Piazza Lavagna mediante demolizione di edifici preesistenti.
Ma il primo progetto davvero di rilievo è la sistemazione della spianata dell’Acquasola, fino a quel momento non sfruttata appieno e utilizzata per i più diversi scopi, tra cui deposito di materiale di scavo.
L’eccezionale posizione panoramica la rende luogo di ritrovo e di passeggio dei genovesi ancora prima del riassetto barabiniano: esso la porta ad essere, però, elegante parco con passeggiata, tipicamente ottocentesco. Del progetto originario, ultimato nel 1825, fanno parte i giardini con la vasca centrale che raccoglie l’acqua di varie sorgenti, mentre alcuni decenni più tardi, ormai morto Barabino, verrà realizzata la congiunzione dell’Acquasola con la neonata piazza Corvetto, creando quindi un collegamento diretto fino alla collina di Villetta Di Negro. Dopo l’intervento dell’architetto la zona appare talmente bella ai contemporanei da essere citata da personaggi come Dickens, Flaubert e Stendhal.
Sempre in quest’ambito, Barabino stende anche un progetto di collegamento della spianata con la collina di Carignano (il futuro Corso Andrea Podestà).
Approvato il 26 aprile 1825, il progetto che l’architetto presenta al Comune per il Piano d’ampliamento delle Abitazioni è anch’esso di grande rilevanza vista la notevole crescita demografica degli ultimi anni. Il Piano prevede la costruzione di diecimila nuovi alloggi, e soprattutto ha un approccio innovativo al tessuto urbano: finora la città è rimasta chiusa nell’area delimitata dalle mura cinquecentesche, e ha sempre cercato nuove soluzioni all’interno di quest’area, tutt’al più cercando lo spazio in altezza.
Barabino rompe questo schema e individua, con sguardo proiettato in avanti, una serie di nuove zone edificabili al di fuori della cinta muraria, definendo così città anche ciò che fino a quel momento è poco più che campagna, e mostrando di concepirla come un organismo in espansione . Le zone individuate sono: la collina di Carignano, che pur trovandosi all’interno delle mura ha ancora di fatto un aspetto extraurbano, le falde del colle di S.Bartolomeo e di S.Maria della Sanità (cioè la zona collinare che parte da Piazza Corvetto e che oggi è attraversata da Via Assarotti e Via Caffaro), i piani della Pace e di S.Vincenzo (zone pianeggianti all’altezza del sestiere di S.Vincenzo, attraversate da Via Giulia, oggi via xx Settembre).
L’impianto planimetrico è pulito e rigoroso, basato su griglie ortogonali e ampi rettifili su cui si affacciano in successione edifici simili tra loro a formare quinte scenografiche che suggeriscano ordine e decoro.
Sempre in questo senso prevede un’altezza limitata dei palazzi, una certa distanza tra di essi, e la presenza di ampie zone verdi intimamente integrate col tessuto abitativo. Tutti criteri lodevoli che verranno alterati e disattesi negli anni seguenti e nel secolo successivo da chi metterà mano ai progetti dopo di lui (vai al documentario “Genova nel Novecento” realizzato in collaborazione con la Fondazione Ansaldo).
Nonostante l’approvazione del piano barabiniano, l’attuazione è ben di là da venire, soprattutto per insufficienza finanziaria. I rinvii si susseguono fino al 1836, anno successivo alla morte dell’architetto, quando gli unici interventi che vengono eseguiti sono quelli nella zona della Pace e di S.Vincenzo e la realizzazione del Manicomio cittadino. Per le altre zone bisogna aspettare gli anni cinquanta, via Assarotti e via Caffaro vengono realizzate a partire dal 1856 su progetto di G.B. Resasco (collaboratore e poi successore di Barabino). L’intervento nella zona di Carignano dovrà attendere anche di più: disatteso un piano esecutivo del 1869, si arriverà alla fine del secolo.
Sempre del 1825 è invece l’approvazione dell’apertura di Via Carlo Felice, oggi via 25 Aprile. La realizzazione della via costituisce un notevole intervento, comporta demolizioni, altera il tessuto preesistente tagliando la continuità delle strade che salgono dai caruggi verso la collina di Piccapietra e permette alle carrozze dei nobili di proseguire fino a Strada Nuova, oggi via Garibaldi.
Sempre in zona S.Domenico, il 1825 è anche l’anno in cui a Barabino viene affidata la costruzione del Teatro e dell’Accademia. Per stendere il progetto Barabino si reca a Milano per aggiornarsi sulle esigenze tecniche di scena e si confronta con colleghi specializzati in architettura teatrale; il progetto viene approvato nel dicembre 1825 e il teatro inaugurato nel 1828. Con esso Barabino raggiunge la perfezione sia dal punto di vista formale che da quello funzionale, scegliendo le forme maestose ma rigorose del tempio classico di ordine dorico, realizzando il porticato esterno che collega visivamente il teatro alla piazza e a via Carlo Felice, curando tutti gli spazi e i dettagli degli interni con estrema uniformità, giungendo a soluzioni ottimali dal punto di vista acustico e scenografico nella sala teatrale. Distrutto dai bombardamenti del 1943, dell’originario impianto sono rimasti solo il pronao e il porticato.
Accanto al teatro sorge il palazzo dell’Accademia, inaugurato nel 1832 ed eretto sui portici già iniziati di quella che avrebbe dovuto essere una caserma. L’edificio così concepito verrà alterato già a fine secolo con l’apertura di Via XX Settembre e seriamente danneggiato dai bombardamenti del ’42.
Nell’ultimo periodo della sua attività Barabino ormai domina la scena genovese. Architetto civico, libero professionista, docente universitario con la cattedra di architettura assegnatagli nel 1834, sta lavorando ad importanti opere pubbliche: il ponte sifone dell’acquedotto sul Veilino, il cimitero Monumentale di Staglieno, i macelli, la facciata della chiesa della Santissima Annunziata del Vastato.
Di tutti questi progetti, però, non uno verrà eseguito dal Barabino: viene infatti colto dalla morte per colera il 5 settembre 1835. I suoi lavori verranno dunque portati a termine da altri, e spesso con modifiche molto profonde. Ma ciò che davvero importa è la sua eredità: essa condiziona e arricchisce tutti i suoi successori, nell’approccio architettonico ma soprattutto in quello urbanistico. È suo il merito di aver dato il via alla trasformazione di Genova da città di impianto ancora medievale a città moderna.
Claudia Baghino
[foto di Daniele Orlandi]