Cornigliano Ligure e la rivoluzione dell’acciaio

Cornigliano, antica zona di balneazione, violentata negli anni'50 dall'industria dell'acciaio. Approfondimento e filmato storico
Terra e Mare“, documentario del 1953, anno dell’inaugurazione dell’acciaieria di Cornigliano

Cornigliano Ligure, l’esatta denominazione risalente a quando Cornigliano era un comune autonomo (viene annesso alla “Grande Genova” nel 1926, vai al documentario), trova i suoi naturali confini tra il ponte che lo separa da Sampierdarena ad est, e l’aeroporto ad ovest. Il toponimo pare derivi dalla Gens Corneglia, antica famiglia romana che possedeva molti terreni (ager Cornelianum, campo dei Cornelii) nella zona pianeggiante tra Sestri Ponente e il  torrente Polcevera. Un’altra versione lo vuole, invece, discendere dall’antico ligure  “cor (corito) ni (di) gien (Giano)”. Qualsiasi ne sia l’origine, il nome era già associato, intorno al XII secolo, ad un territorio che si presentava diviso in tre terzieri: Campi, che come suggerisce il nome era interamente adibito alla  coltivazione che si praticava lungo il fiume, Cornigliano, che occupava la zona residenziale vicino al mare, e Colombara che dal nome si desume fosse molto amata dai volatili per la posizione elevata.

Il Petrarca fu uno dei primi poeti ad immortalare questo paese sparso su dolci colline, vigilato, a monte, da una fortificazione posta in alto e guardato dal mare da uno scoglio che affiorava dalle acque ai piedi della collina degli Erzelli, (non più esistente perché inglobato nei lavori di interramento dell’area), su cui si ergeva l’antica badia di Sant’Andrea (VII secolo) ricostruita, poi, nella sede attuale.

LE VILLE

Territorio scelto dalle nobili famiglie genovesi come i Doria, i Centurione, i Di Negro, gli Imperiale, i Cattaneo, gli Spinola, i Gentile, i Pallavicino, i Serra, i Lercari e  i De Mari, per le loro magnifiche dimore gentilizie, d’impianto seicentesco, sorte lungo l’asse viario il cui numero, si dice, ammontasse a più di quaranta…  Per trovarne qualcuna, oggi, bisogna abbandonare la grande via Cornigliano, svoltando oltre i giardini del Municipio ma non è facile individuarle o perché smembrate  e trasformate in appartamenti o perchè nascoste in fondo ai viali. Altre, invece, sono state restaurate ed adibite a strutture pubbliche come villa Bickley, sede della Biblioteca Civica o come quella che si può ammirare dal ponte sul torrente Polcevera, un vero gioiello dell’architettura settecentesca: Villa Durazzo Bombrini (1773- 1775). Questo palazzo è un meraviglioso esempio di struttura in stile francese,  costituito da un corpo di fabbrica centrale, ricco di decori rococò e da due ali laterali che si sviluppano intorno ad una vasta corte; scelta costruttiva che risulta  inconsueta rispetto al gusto dell’epoca che prediligeva ispirarsi ai modelli cinquecenteschi.  A questo primitivo impianto, progettato dall’architetto De Cotte, ufficiale francese, giunto a Genova nel 1747,  venne aggiunto un portico, opera del genovese Andrea Tagliafichi, verso il  1778. All’interno un ampio scalone a sbalzo in marmo bianco di Carrara, primo esempio di questo tipo a Genova, impreziosito da una ringhiera in ferro dipinto, immette in ampi saloni, tra i quali  di particolare rilevanza quello di rappresentanza ubicato al piano terra, la “sala del mare”, dove sono visibili  due tele di Francesco Solimena, “Debora” e “Giuditta che mostra la testa di Oloferne”.

IL CASTELLO RAGGIO

Non rimane nulla, invece, del  bellissimo castello in riva al mare, costituito da un edificio a parallelepipedo, ad uso abitativo, e da una torre a pianta quadrangolare, saldati insieme mediante un corpo che si prolungava a 90° dall’elemento principale. Un parco-giardino degradava fino ad una assolata spiaggia salita agli onori della cronaca per una caduta da cavallo immortalata dal Foscolo.

Il Castello Raggio, che assomigliava un poco a quello del Miramare di Trieste , era stato fatto costruire da Edilio Raggio (1840-1906), fornitore ufficiale di carbone della Marina e delle Ferrovie, su un terreno costato 50.000 lire (1000 lire di allora valevano circa 7 milioni di lire del 1995, 3.500 euro) a cui fu necessario aggiungerne altre 660.000 lire per la creazione dell’edificio. Il palazzo  sorgeva su un’area conosciuta col nome di “deserto”, una rocca petrosa scoscesa e priva di vegetazione che dalla Fossa a Calcinara oltrepassava di poco l’antico scoglio di Sant’Andrea.

Le prime notizie di questo luogo si trovano in un documento che descrive il trasferimento di un certo monaco Alberto presso la Badia di Sant’Andrea citando che tale frate “predica al deserto” anche se non si sa con certezza se fosse un riferimento al posto o alle orecchie poco recettive dei fedeli. Un’altra fonte riferisce sulla necessità di aprire una via di comunicazione in quanto, per l’accesso, esisteva un unico impervio sentiero; viabilità che verrà resa agevole, solo, con l’intervento dell’ingegnere Giacomo Brusco nel 1772.

Prima che l’area fosse acquistata dal Raggio e che vi fosse costruito il castello, progetto dell’’architetto Luigi Rovelli, cavaliere al merito dell’Accademia di Belle Arti per Ornato ed Architettura, il luogo era un covo di briganti capitanati da un certo Gabbaia, come ricordava una lapide, presente fino all’inizio del novecento, in cui era indicato il punto in cui il bandito era stato preso e decapitato.

Abbandonato dai proprietari, durante la guerra, il giardino venne depredato di tutte le piante per farne legna da ardere mentre, sulla spiaggia, sorse una salina i cui fumi arrecarono gravi danni ai muri esterni così come andarono in rovina gli affreschi e gli stucchi interni per le vibrazioni prodotte dal collaudo dei cannoni che l’Ansaldo aveva posizionato nei pressi della dimora. Dopo essere stato teatro di numerosi scontri a fuoco, nel 1946 del castello rimaneva solo un lugubre scheletro abbandonato alla mercé di balordi e senzatetto.  Il 14 aprile del ’51 fu definitivamente abbattuto per recuperare nuovi spazi in nome dell’industrializzazione selvaggia che ha coinvolto in modo massivo il ponente genovese. Là, dove hanno passeggiato Umberto I, la regina Margherita, Giolitti e tanti altri uomini famosi, oggi, rombano i potenti motori di aerei che rullano sulla pista dell’aeroporto Cristoforo Colombo. Nel 1953, intanto, su quello che era il litorale di Cornigliano Ligure (400.000 metri quadri), verrà inaugurata la nuova acciaieria della SIAC (Società Anonima Acciaierie Cornigliano), poi Italsider, quindi Ilva, sino alla definitiva chiusura dell’altoforno e quindi della produzione a caldo nel 2005.

Adriana Morando


[1] La nobile Luigia Pallavicini,  esperta cavallerizza, volle provare un purosangue arabo di proprietà del generale francese Thiébault, un focoso animale che poco si prestava ad essere montato con una sella da “donna”, come era in uso ai tempi (ovvero con le gambe raccolte su un solo lato del cavallo). Il 30 giugno 1799, in una vasta pianura detta il “deserto di Sestri”, avvenne la tragedia: il cavallo lanciato al galoppo disarcionò la fanciulla che batté la testa su una roccia rimanendone sfigurata. Oltre a molti punti di sutura che gli deturpavano la bocca, l’occhio sinistro rimase alterato e sporgente e una parte della calotta cranica dovette essere sostituita da una calotta d’argento. Foscolo la conobbe ad incidente avvenuto, nascosta sotto un velo che la riparava da sguardi indiscreti,  il 13 ottobre di quell’anno, in occasione di un ricevimento a Campi e ne subì l’irresistibile fascino tanto da comporre la celeberrima ode, fascino indiscutibile se, come si narra, non abbia lasciato insensibile anche Honoré Balzac che, forse, si ispirò a lei per la sua “Honorine”.

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