Genova Prà, la storia e gli antichi casali

La storia di Prata Veiturionum, i primi insediamenti, gli antichi casali e le spiagge e gli stabilimenti balneari degli anni '50

Fino agli anni 50-70 del Novecento, prima dell’avvento del terminal-container, passare le domeniche a Prà tra i numerosi stabilimenti balneari che si affacciavano sulle spiagge praesi era una consuetudine imperdibile non solo per i genovesi ma anche per i bagnanti provenienti dalla Lombardia e dal basso Piemonte, richiamati dal clima mite e salubre. Infatti, grazie ad una particolarissima conformazione oro-geografica, i venti freddi di tramontana, scendendo dal Monte Penello, subiscono una compressione adiabatica che li rende meno umidi e più tiepidi. Sarà per questo che ivi sorse l’antico insediamento preromano di Prata Veiturionum (per contrazione Prà) o prati dei Veiturii, arcaica tribù ligure che abitava nel territorio compreso tra Sestri Ponente ed Arenzano. Il borgo si era sviluppato intorno all’Astu, vero nucleo della vita civica, religiosa ed economica del territorio, un luogo dove il popolo si radunava per discutere dei problemi amministrativi e giudiziari e il cui nome deriva dall’asta che si conficcava nel terreno e a cui venivano appesi elmi e scudi a significare che lì non erano ammesse risse o contese.

Quando, Prà era ancora una distesa verdeggiante punteggiata da pochi casolari agresti, qui sorse una piccola pieve, la Pieve di Palmaro. Costruita alcuni secoli prima del 1000, assunse il ruolo di chiesa plebana (al centro di una circoscrizione territoriale) ed includeva un ospizio che accoglieva i pellegrini  reduci dalla Terra Santa i quali, per ringraziamento,  avevano l’abitudine di lasciare un ramo di palma portato dalla Palestina, usanza a cui si deve il toponimo di “Palmaro”. Non tutti concordano, però, con questa interpretazione facendo derivare l’etimologia da “Palmarium” (capolavoro, opera degna della palma), riferita all’intero complesso religioso e alla grande influenza che esercitava sulla sua giurisdizione che, storicamente, era  costituita da cinque sestieri: Prà, Palmaro, Torre, Sapello e Palmaro Carbone.

Grazie alla bellezza del suo litorale, il borgo di Prà divenne ben presto, tra la fine del XVI e la prima metà del XVII secolo, una meta ambita per le nobili famiglie genovesi che qui costruirono grandi dimore gentilizie come Villa Negrone (1601), Villa Podestà (1625), ora divenuta sede del Museo del basilico e del pesto, Villa De Mari (1580),  Villa Adorno Piccardo, Villa Grimaldi Doria D’ Angri, sede distaccata della Municipalità VII Ponente, e Villa Laura.

Tra il 1800 e il 1880, il litorale di Prà divenne sede di cantieri navali specializzati nella costruzione di eleganti brigantini che sfidavano le acque di tutti gli oceani.

Lontani ricordi perché, negli anni ’70 del secolo scorso, sono state riversate in mare montagne di sabbia, ghiaia, massi e materiale di risulta da attività edili, per far posto al nuovo porto mercantile (erroneamente indicato come porto di Voltri anche se costruito interamente sul litorale di Prà) che ne ha cancellato definitivamente la bella spiaggia. Sorte simile per la zona collinare, negli stessi anni la zona di San Pietro diventa il quartiere delle “Lavatrici”, nomignolo irrisorio attribuitogli dalla popolazione per le costruzioni di edilizia popolare arroccate su uno sperone di roccia che guardano a valle attraverso grandi aperture circolari come tanti oblò dei nostri comuni elettrodomestici.

GLI ANTICHI CASALI

Prà fu orgoglioso borgo marinaro indipendente fino a quando, nel 1926, venne inglobato nella “Grande Genova”. In una pubblicazione, di autore ignoto, si ipotizza che il primitivo nucleo, nato intorno alla chiesa parrocchiale, venisse designato col nome di Borghetto e solo, successivamente, assunse l’appellativo di Palmaro, grazie alla chiesa plebana che, oggi, occupa quella porzione di territorio racchiusa tra il rio Branega e il Rio delle Madonnette. Come anticipato, il borgo era anticamente costituito da cinque Casali (quartieri) che ne individuavano altrettante parti del suo territorio.

Intorno alla chiesa romanica di San Pietro si era sviluppato il casale del  Fossato o di Prà, l’attuale Borgo Foce, che nell’antico nome evoca le arcaiche origini veituriane (prati dei Veituri). Questo rione che attualmente si estende da Piazza Bignami a Piazza Borgo Sciesa, divenne il vero cuore pulsante delle attività economiche e politiche del borgo grazie alle sue industrie e, soprattutto, ai  cantieri che qui, per primi, diedero i natali ai “pinchi”, velieri mercantili seicenteschi  a tre alberi o ai veloci brigantini dell’Ottocento o, persino, come qualcuno ipotizza, alle galee che servirono a Giulio Cesare nella sua conquista della Gallia.

Tra il rio Branega, lungo l’antica via Comunale (oggi via Sapello), e Piazza Bignami, crebbe, invece, il quartiere del Sapello, il cui toponimo viene fatto risalire ai Sabelli, primitive tribù che abitavano questo territorio o, secondo altre versioni, alla presenza di un “sacellum”, piccolo  luogo di culto o, ancora, alla presenza di numerose dimore dei “sapellin” (scalpellini), umili operai “senza arte”, impiegati  per la lavorazione stradale.

Al confine con Voltri, tra il piccolo corso d’acqua delle Madonnette e il rio San Giuliano, troviamo il rione di Cà Nuova (oggi meglio conosciuto come C.E.P., Case Edilizia Popolare) la cui denominazione deriverebbe da “Casa Canneva”, un edificio di rilevanza storica. Il suo nome originario, però, era quello di  Palmaro Carbone da attribuirsi, forse, alle numerose fornaci presenti sul territorio od originato dal ricordo di un famoso capopopolo, tale Giovanni Carbone, che si era particolarmente distinto nella lotta contro gli Austriaci.

Il quarto casale, ovvero l’area territoriale situata all’estremo levante in un tratto compreso tra il Castelluccio (fortificazione del XV secolo) e Piazza Sciesa, secondo il cartografo Vinzoni (1690 –1773) era chiamata Longarello o Ungarello ed era ubicata in un tratto “lungo l’arena” che correva rettilineo, interrotto solo dalla foce del rio San Michele. La zona, originariamente, faceva parte del casale della Torre e solo in tempi più recenti si è potuta fregiare del titolo di borgata. Da qui, infatti, si dipartiva il quinto casale che, inerpicandosi sulle alture, raggiungeva un’antica villa turrita degli Spinola, poi passata ai Cambiaso (Torre Cambiaso, oggi di pertinenza di Pegli) a cui si deve il toponimo del sestiere.

Con la selvaggia urbanizzazione della zona a monte, innescata  tra 1980 e il 1985, si è delineato, sulla collina attigua al fortilizio medievale,  un nuovo nucleo abitativo, quello di San Pietro, detto anche delle “Lavatrici”, per le aperture “architettoniche” di cui sono corredati i quattro edifici paralleli che aggettano sull’autostrada dei fiori. Questi veri mostri di cemento hanno modificato irrimediabilmente il panorama di Prà ma non hanno intaccato la compattezza dei praesi (i residenti) e dei praini, come vogliono essere chiamati i nativi, che lungi da essere divisi da rivalità, sono molto risoluti nel rivendicare le loro origini a tal punto che, uniti sotto un unico gonfalone, hanno coniato un proprio inno, scritto dal cantautore “Sapellino” Nino Durante, la cui strofa iniziale “Solo a Prà me sento in casa e posso respiâ” porta con se tutto l’orgoglio di questo antico borgo.

PIEVE DI NOSTRA SIGNORA DELL’ASSUNTA

Via alla Chiesa di Prà conduce a quella che è stata la principale chiesa del borgo, dedicata a Santa Maria Assunta, edifico religioso edificato molto prima del mille ma di cui si ha documentazione  certa solo in due scritti del  1158. Impegnata attivamente contro il paganesimo dei Veituri, assunse presto una tale importanza politica-amministrativa da potersi  fregiare, fin dal 1150 del titolo di Pieve (dal latino Plebs), cioè una chiesa matrice o plebana, dotata di battistero, posta al centro di una circoscrizione e, successivamente, nel 1175, divenire sede del Collegio Canonicale. Originariamente aveva una struttura in stile romanico, a tre navate, che fu ampiamente rimaneggiata dopo l’incendio operato dai pirati barbareschi nel 1587 e i saccheggi perpetrati dalle soldatesche austriache nel 1747 e francesi nel 1800. Si trattava in realtà di un complesso religioso che oltre al vicino cimitero, di cui si hanno testimonianze scritte in documenti datati XII secolo, comprendeva un oratorio (XII secolo) tutt’ora esistente, un ricovero per i pellegrini, una biblioteca e poteva vantare, vera rarità perché unica in Italia, nel 1272, una scuola pubblica.  Lasciata l’Aurelia ed imboccando via Murtola, subito sulla destra, preceduta da uno stretto e lungo sagrato, si presenta  all’osservatore, oggi, come un edificio  a singola volumetria in cui lo spazio si distribuisce nelle sei cappelle lungo le pareti laterali e nel presbiterio centrale che è l’unica parte rimasta, insieme al coro, della chiesa primigenia. Conserva numerosi tesori tra cui si ricordano le tele del Fiasella, di Carlone, di De Ferrari e una cassa processionaria dell’Assunta attribuibile al Maragliano.

Adriana Morando

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