Genova Sestri Ponente, la storia e i primi insediamenti

La sesta pietra miliare dalla città di Genova. La storia di Sextum, Sesto e infine Sestri dal 1640

Al riparo dai gelidi soffi della tramontana, antichi liguri posero, in quello che è oggi il quartiere di Genova Sestri Ponente, un primo insediamento. Il litorale doveva ancora affiorare dagli abissi pelagici, attraverso fenomeni di bradisismo già presenti intorno all’anno mille, e le acque marine, risalendo l’attuale torrente di Chiaravagna, dovevano ancora raggiungere i declivi di Priano, nelle colline retrostanti, dove tra i borghi di Virgo Potens e di Pian del Forno, formavano un piccolo golfo chiamato Golfo di San Lorenzo.

La certezza della topografia del luogo è testimoniata dal ritrovamento di ancore e di anelli in ferro per l’ormeggio dei natanti oltre a carte nautiche che attestano la presenza, in questa zona, di un porticciolo ed ancora da un’antica citazione presente nella “Naturalis Historia”  dello storico latino Plinio il vecchio (I sec. d. C.). Sappiamo inoltre che, nel 1100, la protezione dell’insenatura era affidata a due fortilizzi, quello di Castiglione o “Castellione”, nei pressi dell’attuale chiesa di S. Nicola, e quello di S. Martino dove oggi si trova il Convento dei Cappuccini.

Nel XVII secolo, il mare, pur arretrando, giungeva fino all’attuale centro storico e lambiva  la Basilica di Nostra Signora Assunta che si ergeva a pochi passi dalla spiaggia con l’entrata rivolta a nord per evitare l’ingresso dei marosi in caso di tempesta.

Il primo nucleo, dunque, nato agli albori della storia, come testimonierebbe il ritrovamento dell’antico Castellaro, collocabile nell’Età del ferro, era dedito essenzialmente all’agricoltura  ma furono soprattutto le attività marinare che ne permisero un rapido sviluppo tanto che questo piccolo insediamento era già noto ai tempi dei Romani, intorno al II secolo a.C.

È proprio alla lingua latina che si dovrebbe il toponimo del luogo ubicato “nella fiorita gemina riviera di Genova… tra le falde e i lavacri  di Apennino”, ad Sextum lapis ab Urbe Janue, ovvero dove era posta la sesta pietra miliare dalla città di Genova, sulla strada romana Via Æmilia Scauri, che collegava Luni a Vada Sabatia (Vado Ligure).

Gli scambi commerciali con la Francia, la Spagna e l’Africa favorirono lo sviluppo “dell’industria” che fece di Sextum (poi tramutatosi in Sesto e, dal 1640, in Sestri) uno dei più importanti centri per la produzione di calce, ottenuta dalla locale pietra dolomia, di mattoni, di alabastro, di rame, di amianto. Da ciò, dunque, ne derivò la necessità precipua di difendere la costa dalle incursioni barbaresche attratte da facili bottini: il borgo si munì di turriti edifici di avvistamento e di baluardi difensivi come il succitato Castellione che si ergeva su uno sperone di roccia, aggettante sul mare, in una località ad est di Calcinara nota coma la “Fossa”.

Nel contempo, la diffusione del Cristianesimo aveva portato alla nascita di piccoli eremi che si erano trasformati, ben presto, in santuari, in conventi, in luoghi di ospitalità per pellegrini, in ospedali ed intorno ai quali si erano addensate le abitazioni del centro urbano che si stava delineando come attesta un dipinto, datato 1238, in cui è raffigurata una antica palazzata che si snodava, verosimilmente, lungo l’attuale via Paglia. L’edificio religioso divenne, dunque, il fulcro del potere economico e politico come si può facilmente evincere dal fatto che la parrocchia di San Giovanni Battista  era stata preposta a sede ufficiale per incontri di autorità pubbliche, per la stipulazione di atti, per la risoluzioni di controversie e, sotto le volte del porticato, si comminava la giustizia. Furono, però, tempi turbolenti in cui i diversi interessi politici ed economici contrapposero, in una guerra fratricida, i Guelfi ai Ghibellini e neppure “Sextum” ne venne escluso come ricorda un tragico scontro avvenuto il 4 febbraio 1309 proprio sulla spiaggia antistante il borgo.

LO SVILUPPO DI SEXTUM

Lasciato alle spalle il tenebroso medioevo, Sestri continuò nel suo cammino di crescita sviluppandosi su due direttive: quella lungo la costa e quella più a monte intorno al nucleo primitivo, diventando il centro più importante e popoloso tra i suoi convicini Prà, Pegli e Voltri come si riporta negli Annali (1537) del vescovo di Nebbio, Agostino Giustiniani: “Si appresenta Sesto, che sono due borghi, e fanno ottocento fuochi e qui in cerco sono miniere di calcina, in abbondanza ed in perfezione, quanto abbia qualunque altra regione in Italia”, dove per fuochi si intendono i nuclei famigliari.

Il dato è confermato da una documentazione successiva in cui si accerta che, il 22 maggio 1582, la popolazione constava di 4012 residenti, corrispondenti a 816 fuochi. Alla  fine  del ‘500, il territorio era costituito dalle rettorie di Lardara, Castiglione, Surriva e Gazzo, dipendenti dalla potente plebania di Voltri da cui fu affrancato il 1° maggio 1609 con la costituzione di una Capitaneria Sestrese a capo della quale fu messo il patrizio Andrea Spinola, di cui, tra l’altro, si ricorda la costruzione di una prigione nei pressi di palazzo Micone, edificio tutt’ora esistente.

E’ questo il secolo della “colonizzazione” dei nobili genovesi che scelgono il borgo marinaro per le loro lussuose dimore che lo renderanno un luogo ambito di villeggiatura fino all’Ottocento quando, con la costruzione del primo cantiere navale, nel 1815, prenderà l’avvio un processo di industrializzazione che inciderà profondamente sul suo habitat urbanistico ma nel contempo la renderà nota nel mondo per la costruzione di  gloriose navi come il transatlantico Rex, l’Andrea Doria, la Michelangelo, la Raffaello nonché le moderne navi da Crociera Costa. Ciò che non è cambiato è il fiero spirito dei “sestrini”  che, come nel passato,  quando amavano definirsi “amici e non servi di Genova”, oggi, pur conglobati nella realtà metropolitana, mantengono inalterato il loro spirito indipendente che traspare quando, per spostarsi  verso il centro della nostra città, continuano a dire “andiamo a Genova”, rivendicando, in tal modo, la loro differente identità storica.

GENOVA SESTRI PONENTE: CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Io Girolamo Rossi prevosto ho più volte udito l’ora fu Sac. Agostino Cevasco, per molti anni stato cappellano ed economo di questa parrocchiale, che da in memorie da esso vedute, questa chiesa è stata principiata a fabbricarsi l’anno 680, e dopo dieci anni terminata, cioè nel 690, con la spesa di 3000 scudi”. Questo ricordo storico di un parroco del 1700 parrebbe fissare la nascita dell’edificio religioso nel VII secolo anche se il primo documento che ne certifica sicuramente l’esistenza è una bolla del papa Adriano IV (1158), atto in cui la chiesa viene riconfermata  nella sua funzione di parrocchia, titolo che le era stato conferito nel 1132. Nulla si sa, dunque, di questa primigenia costruzione se non che sarebbe stata voluta da due nobili fratelli francesi provenienti dal castello Costiz, per mantenere una promessa votiva, probabilmente non più di una piccola pieve rurale che fu necessario ampliare e ricostruire nel 1161 come certifica il seguente atto di compravendita: addì 28 giugno, “I consoli di Sestri Corrado di Prato e Tomaso, per consenso ed autorità de’ comparrocchiani e de’ vicini loro, confessando che prete Alessio ha dato loro L. 5 e mezza quale  prezzo, che egli avea avuto da Martino Detta per l’agro di terra, che è in Sexto, nel luogo detto Valerio e, confessando che per ampliamento della chiesa di S. Giovanni…

Facendo un salto temporale e giungendo al XVII, sappiamo che l’edificio  religioso andò incontro ad un nuovo restauro che modificò ampiamente la chiesa il cui impianto strutturale passò da una a tre navate[1].

IL MONTE GAZZO, TERRA DI LUPI E ORSI

Il cono sommitale del monte Gazzo, ricoperto da antichi lecceti, da sempre si erge alle spalle di Sestri, quando ancora il mare accarezzava le garitte del fortilizio di S. Martino e le sue acque giungevano a lambire i piedi delle colline. Alto 419 metri, ha rappresentato non solo un baluardo contro i gelidi venti di tramontana, ma un’autentica risorsa grazie alla sua natura calcarea che forniva l’elemento base per la produzione della calce. Toponimi come Pian del Forno, dove vi era un’antica fornace, o  rio  Bianchetta, dove si sversavano gli scarti, devono il loro nome proprio ad attività legate a questa lavorazione che, pare, fosse praticata nel territorio sestrese fin dal 1143 [2]. Estratto da piccole cave il pietrisco veniva posto in camere di combustione, alimentate da legna raccolta nei boschi circostanti, in cui, seguendo un lungo procedimento che durava più giorni e grazie alle elevate temperature, si otteneva un composto che, a contatto con l’acqua, si trasformava in una fine polvere bianca.

Sulla sommità di questo monte si erge un piccolo santuario dalle linee architettoniche essenziali, sulla cui sommità del tetto è posta una maestosa statua della Madonna, alta 5 metri, opera (1873) dello scultore savonese Antonio Brilla. Sappiamo che, ancora nel 1645, però, qui non vi era alcun edificio, solo una grande croce in legno, di cui si sono perse le tracce, voluta dal parroco di San Giovanni Battista per porre Sestri sotto la protezione divina.

Durante la pestilenza del 1656-57, molti abitanti del borgo si salvarono dal contagio rifugiandosi nelle grotte presenti sul monte e, per ringraziamento, nel 1660 il Senato approvò la costruzione di una piccola Cappella. Quaranta anni dopo, incominciò la  vera vita spirituale del santuario con la celebrazione della prima messa ma, solo nella ricorrenza del centenario (1757), l’originale modesta struttura andò incontro a lavori di ampliamento cui seguirono quelli del 1854 che aggiunsero alla chiesa due navate, il coro, i due altari laterali oltre al rifacimento dell’altare maggiore.

Se la pace dell’eremo induce a momenti di intensa riflessione spirituale, l’attiguo Museo Speleologico mostra oggi, tra le tante curiosità, anche una tigre con i denti a sciabola… Non bisogna stupirsi, perché nella preistoria, il clima particolarmente caldo, permetteva la presenza di feroci felini per non parlare di lupi ed orsi che, ancora  nel XIX secolo, infestavano questi luoghi. La convivenza con gli abitanti non era davvero pacifica se la Regia Segreteria di Finanze, il 30 Settembre 1819, ne promuoveva l’abbattimento con delle vere e proprie taglie: “Per una Lupa pregnante lire cento. Idem non pregnante lire settantacinque. Per un Lupo adulto lire cinquanta. Per un Lupicino lire dodeci e centesimi cinquanta. Per gli Orsi i premi istessi fissati per i Lupi ordinarii. Per un Lupo cerviaro qualonque ne sia l’età ed il sesso lire cento.

LE VILLE

Su un tratto dell’antica strada romana (oggi via d’Andrade – via Vado) che percorreva la costa stretta tra l’azzurro del mare e le ultime propaggini delle colline, sorsero, in sequenza, tra il sei-settecento, quattro sontuose dimore nobiliari. Tra queste la più imponente, Villa Maria De Mari, di cui rimangono i disegni del Gauthier, è un rimaneggiamento, di un impianto seicentesco, voluto dai nobili De Mari quando la rilevarono dai precedenti proprietari nel 1700. Ceduta, nuovamente, agli Spinola nel 1771, poi ai banchieri Rossi, nel 1886, ed infine, nel 1939, ai Rollino, ha perduto oggi quasi completamente la grande area verde nella quale era incastonata. Esuberante di richiami barocchi, l’edificio si compone di due ali arretrate e da due padiglioni centrali da cui dipartono due scalee monumentali che, anticamente, davano adito ad un vasto  giardino all’italiana che giungeva fino alla spiaggia privata, ricco di aiole, fontane ed alberi da frutta. L’ingresso principale, posto lateralmente, era  il naturale trait d’union tra la parte interna, ridondante di marmi ed affreschi, con l’area esterna che, salendo verso la collina di Sant’Alberto, raggiungeva un piccolo laghetto. Qui nel cuore del parco-bosco, che occupava la parte retrostante la villa, dipartiva un caratteristico percorso formato da un camminamento a “grotta”, ormai scomparso, che riportava nuovamente all’edificio.

Consorella minore di questa antica dimora è la vicinissima Villa Spinola Pallavicino, la più giovane della quattro, essendo stata costruita nel 1700. Oggi di proprietà privata, ha perso il suo esteso parco che la cingeva a monte ma ha conservato il suo splendido giardino che, anticamente, aggettava direttamente sul mare.

Il rio Molinassi che deve il suo nome ai tanti mulini che “abitavano” le sue sponde, scendendo dal monte Contessa, divide questa nobiliare dimora da quella successiva: villa Durazzo Parodi. La struttura originale della seconda metà del ‘600 venne donata (1735) dal suo padrone, Stefano Spinola marchese di Francavilla, ai padri Gesuiti. Questi provvidero ad una drastica rivisitazione degli spazi, per adattare l’edificio al nuovo scopo, consegnando alla storia un un corpo centrale lungo e basso, ad uso rappresentanza, da cui si dipartono due strutture laterali più alte destinate alle celle. L’atrio, maestoso, si continua in un rincorrersi di colonne, fino alla cappella e al giardino che ospita, su una stele, il busto di un eroico bersagliere, il capitano Civardi, opera (1916) dello scultore sestrese Luigi Venzano.  Dopo una serie di vicende, tra cui anche l’utilizzo come ospedale durante l’assedio di Genova del 1800 e un avvicendarsi di nuovi padroni, l’edificio, oggi, è sede di una scuola  materna.

Superato l’ex-convento di San Francesco, troviamo la più nota tra le dimore nobiliari sestresi, Villa Rossi Martini, voluta dai discendenti di “Bonvassallus de Lumello” (Lomellini), nel XVII secolo, e adorna di un magnifico parco di 40.000 mq, oggi aperto al pubblico. Quattro piani seicenteschi ricchi di reminiscenze storiche come quella di essere stato la sede del quartier generale austriaco dove operava il famigerato colonnello Radetzky, nel 1800, durante l’assedio di Genova, o traboccanti di memorie legate a personaggi illustri come quando, nel 1893, diede ospitalità alla moglie ammalata dell’imperatore Francesco Giuseppe ovvero  la “Principessa Sissi”, o ricordati per fatti eclatanti, basti pensare che, nel 1885, la marchesa Ginevra Grimaldi Spinola perse la villa in una sola notte al tavolo da gioco. Acquistata al pubblico incanto dal cavalier del regno d’Italia Antonio Rossi, padre del Senatore Conte Gerolamo Rossi Martini, la nobile famiglia vi abitò fino al 1931, anno in cui fu ceduta al Comune dal conte Alberto Rossi,  con l’esborso, da parte del Podestà, di due milioni di lire (deliberazione del 10/2/1931). Adibita a scuola elementare fino al 2000, il suo parco, che denuncia i segni di un lento degrado, è aperto al pubblico.

Adriana Morando


[1] I lavori si erano resi necessari poiché ben due fulmini si erano abbattuti sullo stabile determinando il primo, nel 1606, il crollo del campanile gotico del X secolo, il cedimento del tetto del coro e quello della sacrestia ed il secondo, nel 1608, che incise rovinosamente sulle volte dell’altare maggiore. Nata, pare, su progetto dell’architetto Andrea Ceresola detto il Vannone, l’attuale chiesa  presenta una facciata dalle linee architettoniche e decorative di gusto barocco, che aggetta su un ampio sagrato la cui parte centrale è impreziosita dal gioco dei colori di un acciottolato a figure geometriche. All’interno, in un susseguirsi di stucchi e marmi, che ricoprono per intero  le pareti fino a raggiungere le volte a botte, tante opere artistiche di scuola genovese del XVII e XVIII secolo oltre ad un’ immagine della Madonna, risalente al 1542,  cui è legato un evento miracoloso. Si narra, infatti, che in prossimità del porto di Sestri, la nave su cui era trasportato il quadro fu investita da una terribile tempesta. Dalla spiaggia assisteva impotente la Confraternita a cui l’immagine era destinata che invocò con accorate preghiere l’intervento divino  al fine scongiurare l’imminente naufragio. L’approdo felicemente riuscito fu, dunque, salutato come un miracolo  e il ricordo tramandato fino ai giorni nostri.

[2] L’arte di cuocere la ghiaia calcarea, del resto, era nota fin dai tempi di Plinio che scrive “calcarea forna in qua calx coquitur” (forni calcarei nei quali è cotta la calce) e lo stesso Vitruvio, nella sua opera De Architectura, ne descrive la produzione a partire da “pietre bianche cotte in appositi forni dove perdono peso” (perdita dell’anidride carbonica). La presenza di questa attività sul territorio è comprovata da documenti come l’atto, datato 17 gennaio 1265, in una spartizione di beni tra fratelli, in cui si legge “le calcinare che hanno in Sexto, in monte Gazii” o come la promessa di vendita in cui “Lanfranco de Vivo da Sestri promette a Giovanni Cintraco che per il primo d’aprile gli porterà in Rapallo presso la sua casa, posta al Pozzo, 15 moggia di calce di Sestri per il prezzo di soldi 18 al moggio” ed ancora “al luogo detto Panigaro e alle falde del monte Gazzo, vi sono le calcinaie di Giò Orazio Leveratto, dove si fa la migliore calcina di questi contorni di Genova” citato, nel 1827, da tal Carlo Tagliavacche.

Cosa vedere a Genova

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Museo di Sant'Agostino di Genova

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Palazzi dei Rolli

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