Via Pré: il sestiere, la Commenda e via Balbi

L'antico Sestiere di Pré, la Commenda e il ghetto ebraico. La costruzione di via Balbi e il borgo del Carmine. Approfondimento e filmato storico

Il sestiere di Pré, parte integrante del centro storico di Genova, confina a est col sestiere della Maddalena, a nord con Castelletto, a ovest con il sestiere di S.Teodoro, mentre a sud si affaccia sul bacino del porto vecchio (vai al documentario sulla storia del porto di Genova). Sulle origini del toponimo esistono diverse interpretazioni: secondo una di queste Pré deriva da “prati”, che in dialetto si dice proei, in dipendenza del fatto che anticamente la zona, non ancora edificata, era tutta prati e orti; secondo un’altra interpretazione il termine deriva dall’abbreviazione del sostantivo “prede”, poiché qui sbarcavano le navi da guerra col bottino; una terza lettura rimanda a certe carte del XII secolo dove la zona è indicata come ad praedia, cioè verso i poderi, con riferimento ancora una volta ai terreni coltivati.

Oggi l’area del sestiere che mantiene il suo aspetto storico, con gli edifici accorpati e compatti, si trova circondata da direttrici viarie di grande importanza per la città, che supportano notevoli quantità di traffico: via Gramsci (già Carlo Alberto), aperta durante gli interventi urbanistici ottocenteschi (vai al documentario “Genova nell’Ottocento”) come infrastruttura a servizio del porto, oggi trafficata arteria di collegamento col ponente; la sopraelevata, parallela a Gramsci, realizzata negli anni ’60 a potenziamento della viabilità; lo snodo di piazza Principe, rotatoria da cui si dipartono più vie tra cui via Andrea Doria che conduce alla vicina stazione ferroviaria di Principe.

Per buona parte del Medioevo la zona restò al di fuori delle mura: fuori da quelle del 935, che escludevano anche la Maddalena terminando con la porta di S.Pietro in Banchi; parzialmente fuori dalla cinta del Barbarossa del 1155, che comprendeva soltanto il tratto di via del Campo e si concludeva con Porta dei Vacca. Il borgo venne compreso integralmente con l’ampliamento delle mura operato tra il 1346 e il 1358, che incluse anche S.Agnese e il Carmine, nuclei abitati a breve distanza da Pré, adiacenti l’uno all’altro, oggi inseriti nel tessuto urbano. Il tracciato murario scendeva dal Castelletto a S.Agnese, risaliva la zona di Carbonara (attuale viale Brignole Sale) dove si apriva la porta omonima, toccava Pietraminuta (attuale zona di Castello D’Albertis) e proseguiva fino alla porta di S.Tomaso in zona Principe, lasciando fuori il borgo di Fassolo. Questi vennero dunque ad essere i nuovi confini del sestiere, che coincidevano all’epoca con quelli cittadini. Si noti che i nomi dei borghi minori e delle località toccate dalle mura si conservano in vie e salite omonime che ancora oggi ne denunciano l’antica esistenza: via e vico di S.Agnese, piazza del Carmine.

Via di Pré era la denominazione di un tratto della strada che da ponente conduceva alle porte cittadine, dunque arteria di primaria importanza, intensamente trafficata in entrambi i sensi e cuore pulsante del borgo che andava sviluppandosi intorno ad essa (come molte altre zone cittadine anche Pré dunque nasce come “paese di via”, strettamente legato cioè alla viabilità e alla fornitura di servizi specifici ai viaggiatori). A un passo dalla ripa, gli abitanti del borgo dovevano essere anche strettamente legati alle attività marinare, tanto che sui muri degli edifici si trovano ancora sostegni in ferro che servivano per appoggiare i remi. Dell’antichità della via e delle sue costruzioni sono testimoni le porzioni di paramenti murari in pietra e laterizi che affiorano dagli intonaci dei vari edifici, lasciate volutamente a vista in occasione dei restauri. In epoca recente, a partire dagli anni cinquanta del ‘900, la strada fu luogo di insediamento dei migranti meridionali, (che si sono via via mescolati alle famiglie di lavoratori portuali ivi residenti), e successivamente degli immigrati provenienti da paesi extraeuropei. Via Pré parte da piazza della Commenda e termina in corrispondenza di Porta Sottana, dopodiché la direttrice prende il nome di via del Campo, la quale giunge a Fossatello, dove il sestiere confina con la Maddalena lungo la perpendicolare via Lomellini-via al Ponte Calvi.

Via del Campo si trova già nominata in documenti risalenti ai primi del Mille: ben prima che la zona venisse edificata e finisse inclusa nel circuito delle mura, qui si trovava un campo e in tale area si tenevano probabilmente le esercitazioni militari. In questa contrada ebbe le proprie abitazioni la nobile famiglia Vachero, come ricorda piazza Vachero, che si apre a metà di via del Campo: qui venne eretta nel XVII secolo una colonna infame atta a ricordare la scellerata impresa di Giulio Cesare Vachero, che ordì una congiura ai danni della Repubblica e fu condannato a morte per decapitazione, alla confisca dei beni, alla demolizione della dimora e al bando dei figli dalla città. Successivamente la famiglia fece costruire la fontana ancora oggi esistente per nascondere alla vista la colonna con affissa la lapide che ricordava i fatti.

Con riferimento agli orti e ai campi che caratterizzavano in principio l’area di Pré, si ricordino i numerosi rivi che scendevano dalle colline retrostanti per gettarsi in mare: il Carbonara, che sboccava a Fossatello, quando in tempi remoti vi era un porticciolo poiché le acque del mare si insinuavano fino a qui; il Vastato (ricordato per la violenza delle sue piene, alimentava nel suo percorso una serie di mulini di cui alcuni ancora presenti nell’Ottocento e demoliti con l’apertura di via delle Fontane[1]), che giungeva a Porta Sottana; il Bocca di Bò che sboccava in zona Piazza dello Statuto; l’Acquaverde (da cui il nome della piazza) che arrivava fino a Porta S.Tomaso; il rio Lagaccio che sboccava vicino ai giardini di Villa del Principe. Una simile abbondanza di corsi d’acqua spiega facilmente la vocazione del luogo a zona di coltivazione.

Oltre a essere luogo di orti e campi e via di passaggio, il sestiere, affacciandosi sul mare a breve distanza dal Molo Vecchio, fu presto coinvolto nell’espansione delle infrastrutture portuali: tra XII e XIII secolo qui furono realizzati approdi per le navi, darsena e arsenale, elementi fondamentali per lo scalo genovese e obiettivi sensibili di eventuali attacchi esterni, da cui l’esigenza – soddisfatta con l’ampliamento trecentesco – di proteggere il borgo con una cinta muraria; nei secoli a venire il sestiere vide continui ingrandimenti e adeguamenti delle opere suddette, oltre che numerose nuove edificazioni quali macelli e magazzini per il grano e per il sale (secondo l’ovvia abitudine, riscontrabile in tutto il centro storico, di sistemare i depositi merci e i luoghi per le attività legate al porto il più vicino possibile al porto stesso). Di tale realtà restano testimoni i toponimi dei caruggi: piazzetta e vico dello Scalo fanno riferimento diretto allo scalo realizzato in loco nel 1162 dai Consoli cittadini, vico dei Macellari ai macelli ivi presenti, vico Dora ricorda uno scalo dell’antica darsena così chiamato. Con l’apertura di via Carlo Alberto furono rinvenuti, nei pressi della piazzetta, i resti di un antico ospedale con annessa chiesetta (risalenti a fine 1100), peraltro immediatamente demoliti per procedere con la costruzione della strada. L’ospedale probabilmente era destinato all’accoglienza dei vecchi galeotti ormai inutili al lavoro, che passavano qui i loro ultimi anni di vita; in linea con questa ricostruzione è il fatto che nella vicina chiesa di S.Vittore presso la Darsena (attestata dal 936 e demolita nel 1837) si usava seppellire proprio i galeotti.

Lungo via Pré si trova inoltre la chiesa di S.Sisto, eretta nel 1088 e poi riedificata nell’Ottocento, superstite di un ampio numero di chiese del borgo, oggi non più esistenti ma il cui ricordo si conserva nella toponomastica. Ne è un esempio piazza S.Sabina, che trae il nome dall’omonima chiesa risalente al VI secolo e demolita a inizio ‘900 (sorte non migliore subì la chiesa di S.Fede, riattata a cantina).

All’estremità occidentale di via Pré è piazza della Commenda, dove si erge il medievale complesso di S.Giovanni di Pré (1180); anticamente in questa zona, aperta campagna, si trovava la chiesa del Santo Sepolcro, officiata dai Canonici Regolari che vi avevano eretto a fianco un ospitale per l’assistenza ai pellegrini provenienti dalle valli ponentine e diretti in Terra Santa. Tali edifici e i circostanti terreni coltivati – in principio di proprietà di alcuni conventi di frati benedettini – passarono, tra XII e XIII secolo, nelle mani dell’Ordine dei Cavalieri di S.Giovanni di Gerusalemme, cosicché il complesso divenne di S.Giovanni (con la stessa funzione di accoglienza dei pellegrini)[2]. Quando a fine Duecento i regni in Terra Santa caddero e il relativo pellegrinaggio diventò sempre più difficile e poco praticato, l’ospitale mutò la sua funzione in luogo di cura degli ammalati e accoglienza degli indigenti: fu allora trasformato in Commenda, ossia casa di assistenza, così chiamata poiché la sua gestione era affidata a un membro dell’Ordine detto commendatore (dal latino commendo, affido)[3]. Sebbene rimaneggiato nei secoli successivi, il romanico complesso di Pré – costituito dall’edificio dell’ospitale, dalla doppia chiesa (inferiore e superiore)[4] e dalla casa per i membri dell’Ordine – rappresenta uno dei pochi esempi ancora conservati di ospitale medievale. Qui soggiornarono due papi e S.Ugo, precettore dell’ospitale nel Duecento[5]. Il campanile romanico, perfettamente conservato, domina il territorio circostante dalla marina a piazza Acquaverde. In virtù della posizione privilegiata, fu teatro di due avvenimenti storici: l’Accinelli riporta che nel 1746 gli Austriaci, occupato il complesso, usarono la cima del campanile per fare fuoco sui cittadini, i quali una volta insorti puntarono un cannone contro il campanile costringendoli alla resa; nel 1849 invece il campanile fu usato dai genovesi per sparare contro l’esercito piemontese che si ritirava, poco prima dell’attacco di Lamarmora che avrebbe sconfitto gli insorti.

Dal XV secolo diversi spazi della chiesa inferiore furono consegnati a confraternite cittadine, mentre a partire dal XVI secolo gli spazi dell’ospitale vennero progressivamente mutati in abitazioni e dati in locazione a privati, condizione protrattasi fino ai profondi interventi di restauro eseguiti negli ultimi decenni del Novecento a seguito di lunghe operazioni di esproprio. Oggi la chiesa è parrocchia, mentre l’ospitale è sede museale. Di fronte a piazza della Commenda è calata S.Limbania, il cui nome ricorda lo sbarco della santa vergine di Cipro; su questi lidi, in tempi ancora più remoti (1098) furono sbarcate le ceneri di S.Giovanni Battista, portate a Genova dai crociati di ritorno dalla Terra Santa.

A poca distanza dalla Commenda sono piazza S.Elena e piazza dello Statuto. La prima fu per molti decenni sede del caratteristico mercatino di Shangai (con ortografia volutamente erronea, Shangai in luogo di Shanghai) sorto nel secondo dopoguerra con banchi che vendevano ogni tipo di merce a chi giungeva in città dal mare; a fine anni novanta la piazza fu sgombrata per permettere gli interventi di ristrutturazione e restauro di via Pré, e oggi il mercatino si trova, organizzato in una serie di strutture a chiosco, nella vicina piazzetta dello Scalo. Il toponimo di piazza dello Statuto, dietro cui si staglia Palazzo Reale, ricorda invece la promulgazione dello Statuto Albertino, avvenuta nel 1848 ad opera di re Carlo Alberto. Qui, dove si trova la struttura in ferro del mercato comunale, già anticamente si concentravano le besagnine provenienti dalla Val Bisagno per vedere le loro verdure. Da piazza dello Statuto partiva originariamente Sottoripa che finiva in corrispondenza di piazza Cavour (rimandiamo agli articoli sui sestieri Maddalena e Molo).

VIA BALBI E IL GHETTO EBRAICO

Via Pré è collegata a via Gramsci (e prima che questa fosse costruita, alla marina) e alla seicentesca via Balbi da una serie di stretti vicoli perpendicolari che tagliano il tessuto urbano naturalmente sviluppatosi intorno all’antica arteria principale, e che prima dell’apertura di via Balbi salivano senza interruzione verso le colline. Tra questi vi è salita S.Brigida, che prende il nome dall’omonima principessa svedese che soggiornò a Genova, a metà ‘300, in un edificio della stessa via: una volta canonizzata, fu eretto in loco un convento dedicato alla santa, poi colpito a fine ‘700 dalle soppressioni napoleoniche e trasformato in civili abitazioni a partire da metà ‘800. Il vicolo sbocca nella piazza detta dei Truogoli di S.Brigida: antichi lavatoi ad uso pubblico recentemente restaurati dal Comune contestualmente al recupero dell’intera piazzetta medievale. La zona è nota anche per un fatto di sangue accaduto durante gli anni di piombo: una targa affissa su un muro ricorda che in salita S.Brigida le Brigate Rosse uccisero, nel 1976, il procuratore Francesco Coco insieme alla sua scorta.

Il sestiere comprende la zona dove un tempo si trovava il ghetto ebraico. Genova, città di mare, registra fin dall’inizio della sua storia un intenso scambio culturale, scientifico e commerciale con popoli stranieri, e tra questi anche con gli ebrei, coi quali la Repubblica aveva rapporti di collaborazione così proficui da affidare loro anche incarichi ufficiali, cosa impensabile altrove. A Genova essi ottenero il libero soggiorno dai deputati al Commercio di S.Giorgio già nel 1060. Per lungo tempo non ebbero un quartiere riservato, com’era uso nelle altre città italiane ed europee, ma circolavano liberamente. A partire dal Cinquecento giunse l’obbligo per loro di indossare un segno distintivo giallo sui vestiti, per ordine del governatore francese (la città era infatti ancora sotto dominazione francese); dopo l’epidemia di peste del 1630 si favorì l’insediamento degli ebrei per sostenere la ripresa economica, tanto che nel 1660 anche Genova realizzò un ghetto. La zona interessata era nelle adiacenze di via del Campo: vico del Campo, piazzetta dei Fregoso e vico Untoria (dal 1674 trasferita invece al sestiere del Molo, in piazza dei Tessitori). L’area del ghetto ospitava la sinagoga (all’angolo tra vico del Campo e Untoria) ed era delimitata da cancelli – le cui chiavi erano affidate a pubblici ufficiali detti Massari – che venivano chiusi la sera affinché tra ebrei e genovesi non avvenisse alcun contatto che non fosse di lavoro[6].

Parallela all’antica direttrice di via Pré è la monumentale via Balbi, che collega piazza della Nunziata con piazza Acquaverde, slargo antistante la stazione ferroviaria di Principe.

L’edificazione di via Balbi venne approvata dal governo nel 1602 e i lavori furono terminati nel 1619. La strada – inizialmente detta Strada Grande del Guastato – fu poi intitolata alla famiglia nobile dei Balbi che finanziò il progetto e qui fece erigere diversi palazzi su disegno dell’architetto Bartolomeo Bianco, inseriti nell’elenco dei Rolli; di detto elenco faceva parte anche il superbo Palazzo Reale (via Balbi 10), così chiamato dopo che la famiglia Durazzo, proprietaria dell’immobile dopo i Balbi, lo vendette al Re di Sardegna a inizio Ottocento. La realizzazione di questa via costituì un importante intervento urbanistico paragonabile a quello che, poco meno di un secolo prima, aveva portato alla nascita di Strada Nuova (rimandiamo al testo sul sestiere della Maddalena), in relazione al fatto che la nobiltà spostava progressivamente le sue residenze in zone a inferiore densità urbana, erigendo palazzi sempre più grandi e magnificenti in aree decentrate e tranquille.

Via Balbi inoltre si impose come moderna alternativa alla stretta via Pré, ormai insufficiente al traffico; con la successiva apertura di Strada Nuovissima nel ‘700 (ora via Cairoli) che univa via Balbi alla cinquecentesca Strada Nuova (oggi via Garibaldi) si portò a termine la moderna direttrice che partendo da piazza Fontane Marose collegava il centro alla zona di villa del Principe. Si narra che Madame de Staël[7], impressionata dalla magnificenza dei palazzi, definì la strada degna di un congresso di re.

Oggi gli edifici dei Balbi ospitano alcune facoltà dell’Università di Genova, mentre Palazzo Reale, che ha conservato intatti i suoi interni sei-settecenteschi[8], è museo-dimora (Museo Statale di Palazzo Reale) e ospita gli uffici delle Soprintendenze ai beni culturali. Lungo la via si affaccia inoltre il seicentesco edificio con relativa chiesa (poi sconsacrata) del Collegio dei Gesuiti; il complesso ospitava, come sempre accadeva nei collegi gesuitici, una Libreria: questa andò a costituire il nucleo della moderna Biblioteca Universitaria, che conta oggi circa 600.000 volumi compresi fondi antichi, incunaboli, cinquecentine, periodici e altro, è il maggiore istituto bibliografico ligure ed è dal 1975 un istituto periferico del Ministero dei Beni Culturali. Poco più avanti si trova inoltre la seicentesca chiesa di S.Carlo, eretta dai Carmelitani Scalzi su progetto iniziale dello stesso Bartolomeo Bianco autore dei palazzi della via.

Nella via, l’unico palazzo nobile che è ancora dimora privata è il civico n°1, palazzo Durazzo Pallavicini, originariamente anch’esso di proprietà Balbi, che ospita una quadreria privata e una biblioteca – ricca di manoscritti rari, codici miniati e incunaboli – dove nel tempo, attraverso vari matrimoni, sono confluiti gli archivi di molte famiglie nobili genovesi: Pallavicini, Sauli, Cattaneo, Adorno, Centurioni, Grimaldi, Lomellini. Qui la marchesa Carlotta Cattaneo Adorno Giustiniani ospitò la regina Elisabetta II d’Inghilterra durante il viaggio di quest’ultima a Genova nel 1980.

L’area di Piazza della Nunziata e adiacenze, all’imbocco di via Balbi, ha subìto nel tempo trasformazioni radicali. Rimasta fuori dalle mura fino al 1346, la zona era aperta campagna, coltivata a orti e vigneti, e vi scorrevano rivi come il Carbonara che si gettava in mare poco lontano. Lo slargo che diede origine alla piazza venne a delinearsi con l’erezione delle mura del Barbarossa nel XII secolo, quando le poche costruzioni preesistenti nelle adiacenze della linea muraria furono abbattute per creare lo spazio adeguato all’efficacia dell’opera difensiva: da qui il nome di vastato, spazio aperto, che accompagna ancora oggi l’intitolazione della chiesa sulla piazza, “SS. Annunziata del Vastato”. In quest’area, nel XIII secolo, si esercitavano i balestrieri della congregazione dell’Annunziata[9]. Qui inoltre vi erano due importanti accessi alla città: la porta di S.Agnese, che si trovava indicativamente nel punto dove ora si incontrano via Lomellini e via Bensa, e la porta Sottana (o di S.Fede, o dei Vacca), ancora esistente. Mentre la seconda faceva da cesura lungo la già citata direttrice ponente-levante che giungeva da via Pré, la prima si poneva su un percorso ben più ripido e accidentato: una mulattiera che tirava dritta verso il Righi salendo lungo lo spartiacque tra il rio Carbonara e il rio Vallechiara (di lì a poco sarebbero scomparsi, tombinati già nel Cinquecento). Di tale creuza, molto trafficata in epoca medievale perché metteva in comunicazione con l’Oltregiogo e la pianura padana, è ancora individuabile l’andamento se si percorrono via S.Agnese, via S.Bartolomeo del Carmine, salita S.Nicolò, salita della Madonnetta, Porta delle Chiappe: in più punti è ancora presente il fondo stradale antico, con l’accoltellato in mattoni o il selciato, e i muri in pietra sui fianchi.

Il primo edificio di culto che sorse nel vastato fu una chiesetta dedicata a S.Marta ed eretta dai frati Umiliati, con annesso convento; passata ai Conventuali nel Cinquecento, la chiesa fu ampliata e intitolata a S.Francesco; passò poi ai francescani Minori Osservanti di Castelletto che le diedero l’intitolazione alla Santissima Annunziata che possiede ancora oggi e provvidero alla modifica profonda del fabbricato grazie a larghe donazioni di famiglie nobili tra cui i Lomellini, i quali stanziarono una cifra tale che l’edificio divenne di fatto la loro chiesa gentilizia. La facciata in stile classico che si vede attualmente è il risultato di un progetto di rifacimento presentato negli anni trenta dell’Ottocento dall’architetto civico Barabino e poi compiuto, con alcune modifiche, dall’allievo e successore Resasco qualche anno più tardi. La chiesa subì danni ingenti durante i bombardamenti della Seconda Guerra ed è stata completamente restaurata a partire dalla fine degli anni ottanta. Un fatto di interesse: nel 1815 papa Pio VII vi tenne una messa solenne a cui parteciparono cardinali ed esponenti della famiglia reale, in concomitanza col suo soggiorno nel palazzo nobiliare che si erge di fronte alla chiesa, palazzo Belimbau. Nell’Ottocento la piazza ospitava il capolinea delle carrozze pubbliche a cavallo nonché il mercato mattutino di frutta e verdura, proprio di fronte al sagrato della chiesa. A fine Ottocento, con la realizzazione della linea tramviaria Brignole-Principe che richiedette l’apertura delle due gallerie tuttora esistenti, tutta la zona Zecca-Portello-Nunziata fu sconvolta  e la piazza venne attraversata dai binari del tram che proseguivano lungo via Balbi per sboccare davanti alla stazione Principe.

In cima a via Balbi si apre piazza Acquaverde, il cui nome – di certo legato allo scorrere in questa zona del rio S.Ugo – potrebbe derivare dal fatto che in questo punto il torrente formava uno stagno reso verde dalle numerose alghe sulla sua superficie. I lavori per realizzare la piazza presero il via soltanto a metà Settecento: fino ad allora erano qui presenti i monasteri di S. Paolo e S. Spirito, v’era la porta di S. Tomaso e il magazzino dell’Annona. Con la costruzione della stazione ferroviaria tutti questi edifici furono abbattuti per dare alla piazza l’aspetto che sostanzialmente le è proprio ancora adesso. Il monumento a Cristoforo Colombo fu inaugurato nel 1862, e verso fine secolo la piazza aveva raggiunto la sistemazione definitiva. L’area su cui sorge la stazione comprende il promontorio lungo cui si snodavano le mura del 1346, cosiddetto promontorio di Capo d’Arena, dove si trovava anche l’antichissima chiesa di S.Tomaso (da cui il nome della porta) demolita nel 1894 durante i lavori di rinnovamento urbanistico[10]. A inizio Novecento la zona di Principe era costellata di alberghi di lusso che accoglievano i viaggiatori appena usciti dalla stazione.

IL BORGO DEL CARMINE

Del sestiere fanno parte, come già detto, i borghi del Carmine (originariamente Terriccio, prima che l’erezione della chiesa ne mutasse il nome) e di S.Agnese, adiacenti l’uno all’altro e oggi fusi nel tessuto urbano ma riconoscibili leggendo la toponomastica e individuando il gruppo di case antiche ancora esistenti alle spalle della zona della Nunziata. Anticamente anche quest’area, che si estendeva sulle pendici della collina tra il rio Carbonara e il rio Vallechiara, era coltivata a vigneto, come riporta un documento del 1160. Salendo verso Castelletto, la collina era punteggiata di case di villeggiatura della nobiltà.

I nomi che individuano i due borghi sono dovuti, come spessissimo accade, alla presenza di edifici di culto. La chiesa del Carmine, risalente al XIII secolo, si trova sulla piazza omonima e fu realizzata dai Carmelitani a partire da una preesistente piccola cappella intitolata all’Annunziata. La fondazione della chiesa di S.Agnese invece, nell’area della via che oggi porta il suo nome, risale al 1192, precedente quindi quella del Carmine; chiusa nel 1797, se ne decretò la demolizione per esigenze urbanistiche nel 1820: quando fu abbattuta un muro maestro venne inglobato nel civico n.4 di via Polleri, all’interno del quale è tuttora visibile. Il nome di S.Agnese e la parrocchialità furono spostati alla chiesa del Carmine, che conserva ancora oggi la doppia intitolazione.

Salendo la collina, a breve distanza da piazza del Carmine, si trovano infine la piazza e la chiesetta medievale di S.Bartolomeo dell’Olivella, edificata a inizio ‘300 con annesso convento per le monache Cistercensi.

Oggi la zona del Carmine mantiene l’aspetto originario: case addossate le une alle altre, minuscole piazzette, alti muri e stretti vicoli in pietre e mattoni, antichi paramenti murari con file di archetti pensili a sesto acuto, archi di collegamento tra gli edifici sono tutti elementi che si riscontrano facilmente nel tessuto edilizio. Nei nomi delle strette creuze vi sono le testimonianze del passato: vicolo dello Zucchero e vicolo del Cioccolatto alludono alle botteghe che avevano sede in loco e in cui i droghieri lavoravano e vendevano il cacao e altre spezie (così come i vicini Largo della Zecca e piazza dietro i Forni, che segnano il confine col sestiere della Maddalena, ricordano la presenza dei Forni Pubblici prima e della Zecca poi). Piazza della Giuggiola era sede di un magnifico edificio di villeggiatura poi convertito in abitazioni: il nome rimanda alla presenza di una pianta di giuggiole nel giardino della villa. Da qui passa tangente salita di Carbonara, che parte da piazza del Carmine: è una delle antiche creuze che salivano al Castelletto e che si sono conservate. Il nome di Carbonara ha origini dubbie e gli studiosi hanno fornito diverse interpretazioni, dalle carbonaie intese come fornaci di carbone, ai fossati esterni alle opere difensive quali il Castelletto, chiamati nel Medioevo proprio carbonaie. Un’altra lettura attribuisce l’etimologia del vocabolo a car, vigna, e bon-aria, aria buona, quindi “vigna dell’aria buona”, in relazione alle coltivazioni un tempo presenti.

Claudia Baghino


[1] Via delle Fontane è così detta perché il torrente, che prima di essere coperto scorreva in luogo della strada, alimentava alcune fontane ad uso pubblico che esistevano ancora a metà Settecento di fronte alla chiesa di S.Sabina.

[2] Pare che la nuova costruzione venisse prontamente eretta per accogliere i partecipanti alla terza crociata provenienti dalla Borgogna, giunti a Genova nel 1190 per unirsi alla flotta di Riccardo Cuor di Leone.

[3] L’ordine dei Cavalieri Ospitalieri di S.Giovanni sorse nell’XI secolo a Gerusalemme su iniziativa di alcuni mercanti di Amalfi al fine di offrire assistenza ai pellegrini che giungevano alla Città Santa, e si espanse rapidamente in tutta Europa diventando baluardo di resistenza contro l’avanzata musulmana. La casa madre era proprio a Gerusalemme, dove risedeva il Gran Maestro e dove si trovava il monastero di S.Giovanni Battista, da cui il nome dell’Ordine. Dopo la caduta di Gerusalemme in mano musulmana nel 1187, la sede fu trasferita prima a S.Giovanni d’Acri, poi – a causa dell’inarrestabile avanzata ottomana – a Cipro, a Rodi, a Malta (da cui il successivo nome dei Cavalieri) e infine a Roma, a fine Settecento. Gli insediamenti dei Cavalieri si collocavano nei centri abitati, lungo le vie di pellegrinaggio e in punti strategici per la difesa; le grandi sedi con annessi ospitali erano tipicamente realizzate nei più importanti luoghi di imbarco, come Genova.

[4] La chiesa originaria è quella inferiore, eretta nel 636 in memoria del Santo Sepolcro dopo che Gerusalemme cadde in mano turca. All’epoca la chiesa si trovava praticamente sulla spiaggia, nel seno poi detto di S.Limbania.

[5] Pare che il santo avesse fatto scaturire una fonte d’acqua nel punto ove comincia salita della Neve, presso piazza S.Brigida, a breve distanza dal complesso ospitaliero.

[6] Dal 1669 fu imposto loro di indossare un cappello giallo invece del semplice nastro sugli abiti, di ascoltare il sermone in chiesa ogni mese, e di pagare una speciale tassa, oltre al divieto di spostarsi nelle riviere senza esplicito permesso. Bisogna attendere la metà del ‘700 perché venga loro riconosciuta piena libertà di movimento.

[7] Madame de Staël (1766-1817) fu una scrittrice ma soprattutto una celebre intellettuale, instancabile organizzatrice di circoli culturali e dibattiti eruditi a livello internazionale. In Italia è ricordata soprattutto per l’articolo “Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni” pubblicato nel 1816, che fu all’origine dello scoppio della polemica sul romanticismo in cui si scontrarono tradizionalisti classicisti e progressisti romantici; nello scritto la De Staël incitava gli italiani a seguire con maggiore attenzione le moderne letterature europee e ad aprirsi alle novità culturali internazionali, invece che restare chiusi e adagiati sui fasti del classicismo.

[8] Ha perso invece il suo aspetto primitivo il Teatro del Falcone, annesso in origine all’edificio, distrutto durante il secondo conflitto e ricostruito. Presso il Teatro del Falcone giunse Carlo Goldoni nel 1736 per una rappresentazione: fu in questa occasione che conobbe la genovese Nicoletta Conio, sua futura moglie.

Il Palazzo inoltre ha perduto il suo originario affaccio sul mare che avveniva tramite il Ponte Reale, demolito nel 1963 per fare spazio alla Sopraelevata. Questo Ponte Reale era un corpo di fabbrica che si allungava fino alla riva, provvisto di un grande arco sotto cui passava via Carlo Alberto e facente parte della struttura del palazzo; non è da confondersi col Ponte Reale prospiciente palazzo S.Giorgio e abbattuto a metà ottocento per l’apertura di piazza Caricamento e di via Carlo Alberto, oggi Gramsci.

[9] Nel Medioevo i balestrieri erano un corpo scelto e quelli della Repubblica di Genova erano i migliori esistenti, temuti e rispettati per l’abilità ineguagliabile e per il disprezzo del pericolo. Oltre a quella della Nunziata, le altre congregazioni erano quelle di Sarzano e di Pré.

[10] Nelle fondamenta di detta chiesa furono ritrovati reperti d’epoca romana riconducibili al II sec.d.C., che vennero tutti traslati a Torino (eccetto che per un’urna consegnata all’Accademia Ligustica) con la demolizione dell’edificio.

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