Genova Voltri, la storia e le antiche cartiere

L'antico borgo di Voltri, i primi insediamenti, le storiche cartiere, Villa Duchessa di Galliera e il Santuario delle Grazie

Genova si annuncia a Ponente con la spiaggia di Vesima, ancor oggi un piccolo angolo di paradiso che si è salvato dagli imponenti lavori di riempimento a mare per la realizzazione del porto container di Prà. Di origine medievale, questa piccola frazione dell’estremo ponente genovese si è sviluppata intorno all’antico convento dei Padri Cruciferi, risalente al 1155, ed ha costituito, da subito, un importante punto di avvistamento contro le incursioni dei Saraceni, vigilanza che veniva espletata dall’alto della sua torre, una roccaforte nei pressi del rio Lavandé, abbattuta nel 1915 per motivi bellici. L’orografia costrittiva del territorio ha contribuito a proteggerla  da selvagge espansioni urbanistiche ed, ancor oggi, conserva quell’impronta di borgo marinaro tanto apprezzato, nel passato, dalle nobili famiglie genovesi e, in tempi attuali, da turisti o dal famoso architetto Renzo Piano che, a Punta Nave, vi ha insediato il proprio quartier generale, continuando a mantenere l’aspetto di una piccola ridente località pur essendo a due passi dal centro di Voltri, antica capitale della tribù preromana dei Veituri e comune autonomo, prima dell’istituzione della “Grande Genova” (vai al documentario).

GENOVA VOLTRI: LE ORIGINI

Voltri mostra al nostro tempo un volto ben diverso da quando nelle sue vie ferveva l’attività dei cartai, quando i dipinti di grandi maestri, quali l’Ansaldo, lo Strozzi, i fratelli De Ferrari o le sculture del Maragliano e del Santacroce, facevano a gara per impreziosire le belle ville, gli edifici religiosi e gli antichi palazzi, quando il lirismo bucolico della villa Duchessa di Galliera, richiamava ospiti importanti quali re ed imperatori e il suo teatro, fin dal ‘700,  era celebrato tra i più famosi dell’ambito ligure o, infine, quando le sue strade  erano il palcoscenico di atti eroici legati a vicende belliche come la “Battaglia di Voltri” tra l’esercito di Napoleone Bonaparte e gli austriaci alleati dei piemontesi e, in tempi più recenti, un suo cittadino, Goffredo Mameli dei Mannelli, regalava all’Italia l’inno nazionale.

Ma agli albori della sua storia anche questo era un piccolo borgo, chiuso tra il mare e i contrafforti del gruppo del Beigua, abitato da una popolazione, si dice, di origine celtica, isolato rispetto a Genova a cui fu collegato, solo nel 105 a.C., tramite la strada romana “via Æmilia Scauri”.  Grazie alla ricchezza delle acque portate dai due torrenti principali che attraversano il territorio, il Leiro (o Leira come viene comunemente chiamato) ed il Cerusa che si forma per la confluenza dei rii Gardonea e della Cave poco sotto il Passo del Faiallo, nel medioevo Voltri divenne sede di numerosissimi “paperifici” e prosperò enormemente tanto da diventare, tra l’ottocento e il novecento, uno dei più importanti poli industriali liguri con tanto di riconoscimento di “città” con Regio Decreto del 26 maggio 1903.

LE CARTIERE DI VOLTRI

Tra il cinque-seicento la carta che si produceva a Genova e dintorni era talmente pregiata da essere presente in tutto il mercato europeo e, soprattutto, alle corti reali spagnole ed inglesi, dove un decreto legislativo aveva stabilito che, per i registri di stato, fosse impiegata solo carta di fabbricazione voltrese, stesso supporto sul quale, si dice, sia stata redatta  la Magna Carta Libertatum, promulgata dal re inglese Giovanni Senzaterra, nel 1215. Le maggiori cartiere erano, dunque, quelle di Voltri e dell’immediato entroterra come Mele ed Acquasanta, che si erano sviluppate grazie all’orografia del luogo, fatta di valli ripide in cui svettano cime di roccia rossastra, in grado di incanalare grandi quantità di acqua nelle gore o “bei” fino agli “edifici per lo papero”. Il segreto della carta ligure era dovuto all’utilizzo di stracci di lino e canapa che la rendevano particolarmente resistente all’usura del tempo e alle insidie dei tarli.

Per comprendere appieno l’impatto economico di tali industrie nell’economia del territorio, basti pensare che il Senato si vide costretto a tutelarne il marchio e a promulgare una legge che impediva “l’emigrazione di paperai e dei macchinari fuori dal territorio della Repubblica. Ai trasgressori era comminata, in primis, una multa salata, poi, “tratti di corda, quindi la galea”. Ciò permise, da una parte, il rafforzarsi di tale lavorazione che, nel 1830, contava ben 100 fabbriche, dall’altra il desiderio di sottrarsi a tale restrizione per cercare ubicazioni con minor concorrenza. Uno dei tanti tentativi riusciti fu quello di tal Luigi De Franchi Sacco, il quale ottenne dal Duca di Savoia il permesso di impiantare una nuova fabbrica a Cuneo e di usurpare il marchio dei Giustiniani che operavano nella cartiera di Voltri. Ma, nonostante le defezioni e i vari decreti limitativi che ne seguirono, l’indotto continuò ad aumentare con un record che raggiunse l’apice nel periodo post-napoleonico “quando le navi genovesi cominciarono a volgere più frequentemente le prore verso l’America” e dove le nuove colonie offrivano una  grande richiesta di mercato e le transazioni risultavano estremamente lucrative.

Questa antica arte ha dovuto irrimediabilmente arrendersi all’avanzare prepotente delle grandi industrie, ma ne rimane un prezioso ricordo nel settecentesco edificio “do papé” ovvero la cartiera Piccardo (1726), in località Acquasanta, in cui è stato allestito il museo “Centro di testimonianza ed esposizione dell’arte cartaria della valle del Leira e del Cerusa” e  in cui  sono esposti i vecchi macchinari necessari per la stesura dei fogli, per la loro grammatura, per il taglio, nonché alcune preziose filigrane ed una macina in pietra per ridurre i cenci in poltiglia.

VILLA DUCHESSA DI GALLIERA

A mezzacosta, circondato da 32 ettari di lussureggiante vegetazione che l’avvolge come una cornice, un angolo del passato si erge maestoso, lontano dal caotico traffico moderno: Villa Duchessa di Galliera. Un edificio che, per un attimo, riporta il visitatore nel lontano seicento, tra indaffarati artisti e sontuosi sfarzi. Una dimora che in origine era un castelletto ghibellino dei nobili Spinola, poi, trasformato in abitazione, “il Paraxo”, come viene citata nella compravendita (1675) tra il proprietario, Nicolò Mandillo, e i nobili Brignole-Sale, “villa vineativa, arborativa e in parte boschiva”, pagata 22.150 lire.

Una residenza nobiliare che, però ,viene ricordata con il nome dell’ultima proprietaria, la Duchessa Galliera, che si adoperò per portarla al massimo splendore, intorno al 1876, sotto la direzione dell’architetto Luigi Rovelli.

SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DELLE GRAZIE

Questa pieve sul colle di san Nicolò, a cui deve il primigenio nome, pare avere origini antichissime. Sembrerebbe, infatti, risalente al 67 d.C, forse col nome di Santa Croce, e sarebbe, se così fosse, l’edificio religioso più vetusto del ponente genovese. Un’iscrizione del 1676 in cui si legge “Haec ecclesia consecrata fuit anno 345 in honore sancti Nicolai Episcpi die 25 Julii”, parrebbe spostarne, però, la datazione a quell’anno, anche se l’unico riferimento inequivocabile sulla sua esistenza è un documento del 1205 in cui si cita un religioso, tal “Rubaldo”, quale prete della Chiesa di San Nicolò di Voltri, una piccola parrocchia con annesso un ospitale, luogo di pellegrinaggio e di ricovero per gli infermi.

Dal  23 settembre 1568, la chiesa venne affidata ai frati Cappuccini che posero in opera la costruzione dell’annesso edificio conventuale. Dopo alterne vicende in cui l’eremo conobbe momenti di degrado, fu acquistato, nel 1864, dalla duchessa  Brignole Sale che ne curò la ristrutturazione, salvandolo dalle rovine del tempo e facendone, contestualmente, il Pantheon della famiglia che, ancor oggi, conserva le ceneri dell’antica protettrice.

Adriana Morando

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